lunedì 6 febbraio 2017

Scontro fra preti (e poeti)


Managua, 4 – 3 - 1996 Incontro papa Woytjla – Ernesto Cardenal.
Incontro? Dài, ragazzi, dài, siamo onesti: scontro è stato, al limite delle sberle (ricordate Anagni?).
Quasi incredibile nella sua durezza.  Alcuni giornali scrissero: “Attacco spietato del pontefice polacco alla teologia della liberazione”. E notarono: contesa fra un anticapitalismo rosso e una cristologia da secoli confiscata dai terratenientes. Battaglia fra due potenti che sono anche due poeti e due preti segnati dal sacerdozio.
Quel giorno, tuttavia, sotto il sole infuocato dell’inverno sandinista i loro volti non avevano niente di serafico, erano piuttosto due bandiere che si negavano l’un l’altra l’ombra misericordiosa della storia. L’”uomo di Roma” levava la sua voce tuonante non appena disceso dall’aereo tentando di imporre il silenzio a un gruppo di madri  di soldatini uccisi  dalle truppe del dittatore appena deposto. Le donne, scarmigliate, vestite di nero, le mani protese verso il palco delle autorità, quasi per graffiare l’augusto pellegrino (augusto si fa per dire) e imporgli una preghiera per i loro figli urlavano il loro lutto. “Basta!” ordinava Giovanni Paolo Secondo, timoroso di essere strumentalizzato. La paura della strumentalizzazione  è (non sempre nobilmente) la politica estera della Curia vaticana.
    

Lo scontro vangelo –prudenza è sempre stato al centro della mia narrativa. Nel “nuovo mondo” ho sempre trovato  qualcuno (eroe, vigliacco, artista, fantasma, donne molto carnali) che mi raccontava la sua storia (talvolta incredibile ma poi risultata autenticissima).La mia scrivania è andata così riempiendosi di maschere e di filosofi, tanto da traboccare di destini (mio e altrui). Ho pensatScontro frao così che potevamo “riscaldare” la nostra amicizia offrendovi in dono i primi capitoli di romanzi che ho  poi lasciati nel limbo del mio narcisismo. Spero gradiate questo  dono.

                         
***

Sedendosi per la prima volta alla scrivania del leader maximo, come la chiamavano ridendo i seminaristi, padre Maddalenino Tirelli, nuovo Provinciale italiano della congregazione dei Missionari del Calvario, vide sulla parete di fronte  una immensa fotografia del Santo Padre Giovanni Paolo Secondo e subito pensò: “Questa la faccio togliere”. Nessuno lo sapeva - tranne il suo confessore, naturalmente - ma padre Maddalenino detestava il papa. Non come istituzione, ché il nuovo Provinciale era fedelissimo a Santa Romana Chiesa: non gli piaceva come persona, Karol Woytjla. Il suo volto gli pareva segnato dall’arroganza e dal fanatismo. Il confessore da anni gli chiedeva di rimuovere quel peccato, peccato certo perché poi don Maddalenino non aveva prove della verità delle accuse che in cuor suo moveva al Santo Padre; e il peccatore aveva cercato con tutte le sue forze di cancellare la propria malevolenza, Poi, un giorno Giovanni Paolo II era andato in Nicaragua e su tutti i giornali del mondo era comparsa una fotografia che lo riprendeva con il volto sfigurato dall’ira e un dito minacciosamente levato sopra la candida chioma e la candida barba di Ernesto Cardenal, monaco, e ministro sandinista. Padre Maddalenino amava Cardenal per le sue poesie di fuoco e di vento tempestoso, i suoi versi che riprendevano la violenza di certi salmi biblici e la sue invettive che sembravano uscire dai libri dei profeti e proclamavano ai tiranni la collera di Dio; e per avervi lavorato a lungo conosceva l’America Latina e la miseria atroce di tanti popoli. Davanti al volto accigliato di Woytjla e a quello mitissimo di Cardenal, don Maddalenino aveva tirato un sospiro di sollievo: dunque non si era sbagliato, non aveva peccato di ingiustizia: “quello” non era un buon pastore, tanto meno un pontefice (facitore di ponti), quello era un Signore della guerra. Don Maddalenino si era abbandonato quasi con beatitudine alla sua detestazione; e benché non volesse scandalizzare il suo prossimo, si era lasciato andare, in refettorio, a qualche parola di critica, che gli aveva valso la stima dei più giovani frati della comunità.
Alla fine il confessore, dopo avere tentato invano di estorcergli un po’ di pentimento, gli aveva ordinato di sottoporsi a un corso di esercizi spirituali: otto giorni di clausura e di meditazione, tempo propizio a una conversione. Don Maddalenino aveva mitemente obbedito; e nella casa gesuitica in cui aveva cercato di fare luce in se stesso, nonostante l’odore di minestre abominevoli che giungeva persino nella cappella, alla fine di un lungo travaglio aveva compreso la verità: neppure l’episodio di Managua giustificava i suoi sentimenti, l’antipatia che egli portava al papa dipendeva dal fatto che papa Woytjla era polacco. Don Maddalenino non era un razzista. Il fatto era che a lui un polacco aveva ammazzato il padre.

Maddalenino aveva quattro anni e la cosa che ricorda più vivamente è l’odore del sapone di Marsiglia con la quale la madre, quel giorno, stava lavando i panni, china sulla tinozza di legno. La mamma cantava con un filo di voce e lui giocava con un meraviglioso carrettino: una scatoletta di legno alla quale il padre aveva applicato quattro rotelline. Erano arrivati due uomini concitati, la madre li aveva ascoltati asciugandosi le mani nel grembiule, poi aveva levato da terra Maddalenino, se lo era  stretto al petto tanto da soffocarlo ed era corsa fuori; sulla strada la nonna l’aveva fermata, le aveva strappato Maddalenino dalle braccia, “Lascialo a me”, e sua madre aveva ripreso la sua corsa, urlando parole che Maddalenino non comprendeva.
Di “dopo” ricorda un funerale con tante bandiere rosse, uomini con facce dure che si chinano a fargli una carezza. Il funerale non è entrato in chiesa perché il padre di Maddalenino era ateo, ateo e comunista; e suo figlio è stato segnato all’anagrafe come Maddalenino perché c’era il fascismo e chiamarlo Lenin come lui avrebbe voluto non si poteva. Al cimitero c’è tanta gente e molti sono partigiani. Quando la cassa in cui c’è dentro suo padre viene infilata in una specie di muro, gli armati sparano in aria una raffica di mitra. Maddalenino pensa: sparano agli uccelli; ma nessun uccello  cade dal cielo.
Poi sono passati anni, Maddalenino è sempre stato il primo della classe, la sua maestra lo amava e lui lo sapeva; e sapeva anche che la maestra era triste perché lui non seguiva le lezioni di religione e non andava in chiesa, perché la madre non voleva. Un giorno, all’improvviso (piove da settimane, in casa c’è freddo, mentre fa i compiti Maddalenino ogni tanto deve soffiarsi sulle dita gelate) la madre improvvisamente gli chiede: “Ma tu lo sai come è morto tuo padre?”. Maddalenino ha nove anni, guarda di sbieco la madre, che ha la testa china su un rammendo; scuote il capo e sente che nel cuore gli si gonfia una grande paura: “E’ stato un polacco - dice la madre, - uno di quelli che odiano il comunismo e che quell’anno sono venuti su lungo la costa, insieme con gli Alleati. Tuo padre era un partigiano e aveva il fazzoletto rosso al collo; una sera, dopo che i tedeschi erano scappati, ha incontrato un gruppo di quei soldati, ubriachi, e uno di loro gli ha ordinato di togliersi il fazzoletto. “Vieni a prenderlo” gli ha detto tuo padre, e quando quello gli si è avvicinato lo ha steso con un pugno”. Prima di riempirsi di lacrime, gli occhi della donna hanno un lampo d’orgoglio: così era, il suo uomo! “E allora l’altro gli è saltato addosso con un coltello; e due suoi amici tenevano tuo padre e quel maledetto lo ha ucciso. Dopo, i garibaldini sono andati alla ricerca dell’assassino ma non l’hanno trovato; tutta la notte ci sono state zuffe e sparatorie fra partigiani e polacchi ma di morti c’è stato solo il mio Menichino. E gli alleati hanno portato via i polacchi e non c’è stata giustizia”. Maddalenino ha ascoltato in silenzio.Come se non avesse capito, soffia sulle dita intirizzite e riprende a svolgere il problema per l’indomani..
Perdonatemi, Santo Padre, voi non ne avete colpa. Ma quella fotografia la sostituirò con una icona della Resurrezione.


                                                          

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