sabato 31 dicembre 2016

Il Bufalo e il bambino





Il Bufalo e il bambino ci pone di fronte a una sapiente articolazione scandita in cinque sezioni tematiche, a una dinamica molteplicità di ambientazioni crono-geografiche, a una iridescente varietà di linguaggi, intonazioni, moduli stilistici. Di fronte, in sintesi, a una giovinezza intellettuale e spirituale felicemente in conflitto con l’avanzata età biologica.
La nuova silloge di Masina, scrittore poliedrico e in particolare poeta di lirica morbidezza e insieme di dura tempra profetica, culmina con una sorta di “corteggiamento della morte” preceduto, e paradossalmente giustificato, da un bellissimo inno alla vita nascente, al miracolo della maternità, al mistero del compenetrarsi di corpo e anima nell’embrione: E l’anima sbocciò. 
Il paradosso, in realtà solo apparente, consiste nel fatto che a disinnescare la tragicità angosciosa con cui la nostra umana fragilità guarda al passo estremo è proprio il senso di ininterrotta, infinita continuità della vita nell’avvicendarsi delle generazioni: senso, o piuttosto sentimento, che ogni nuova nascita ridesta nel nostro cuore adulto, alimentando la speranza del credente in una sopravvivenza senza fine oltre la finitudine terrena.


                                                                               (dalla Prefazione di Marco Beck)

Prezzo € 10

Giuliano Ladolfi Editore
Corso Roma, 168 – 28021 Borgomanero NO
www. Ladolfieditore.it




“Il bufalo e il bambino”

È, per così dire, la traduzione in prosa di un mio libro di poesie  stampato l’anno scorso e avente per contenuto una serie di esperienze vissute in varie parti del mondo. In quei luoghi sono stato spesso colpito dalla prontezza con la quale la pace ritornava ad essere dopo ogni guerra un rifiuto della cattiveria umana e un  tentativo di  riordino di un assetto mondiale che custodisca  (o instauri) gli ideali della fratellanza. 
Questa constatazione è particolarmente commovente nei territori segnati dalle crudeltà delle guerre in cui la tecnologia miliardaria sembra avere distrutto ogni capacità di controllo di uno degli istinti peggiori dell’uomo. “Pietà l’è morta”, diceva una canzone venuta “di moda” fra i combattenti delle due parti della guerra 1939-1945 e seguenti e ai  contemporanei sembrò una cifra di paura che non si sarebbe più potuta cancellare. E invece non era così: in quella relazione si faceva notare che nella “terra di nessuno” fra le due Coree, negli ultimi anni si erano ricostituite la fauna e la flora dell’epoca precedente allo smembramento delle due nazioni: mi sembra un segno consolante che si potrebbe riassumere nella citazione di un poeta norvegese di cui, purtroppo, ho smarrito il nome. Egli,  cantava così la sua gioia: “Rido perché la natura e non solo i teologi o gli ingegneri  possono collaborare con noi, anzi esserci maestri. Rido perché la natura è costretta assai spesso a rimediare ai nostri infantilismi..”.

L’esperienza che ho fatto in quei paesi mi ha confermato in quell’ottimismo che si fa evidente nonostante sembri piuttosto regnare un parricidio omicida proprio là dove pochi anni prima la vita dei più poveri fu devastata dal ferro e dal fuoco. 
Penso in particolare, in questo momento, alla tragedia del Viet nam che mobilitò tanti democratici alla solidarietà contro il colonialismo. 
Una mattina io e Clotilde scendevamo la strada che porta dal Passo della Nuvole verso l’incanto dell’oceano di Da Nang e il quasi misterioso affollarsi, vicino alle rive di pescatori in certe loro barche rotonde mai viste altrove. A una curva, improvvisamente, ci aggredì una lieta brigata di bambini mentre si stringevano intorno a noi in imprevisto girotondo  in una zona in cui le truppe del Viet Nam del sud e degli americani dovettero pagare una pesantissima sconfitta, i bambini ci spiegarono che erano gli alunni di una scuola di un villaggio vicino e venivano a contemplare i resti di un enorme elicottero abbattuto chissà quando dai vietcong. I resti di quel mostro tecnologico giacevano da tempo accanto a quel villaggio ma in quel momento ci fu chiaro che l’interesse dei bambini appariva molto più concentrato su noi, turisti in scarpe da tennis, piuttosto che su quella specie di monumento che richiamava tanto terrore. Quando poi la barricata dei piccoli si concentrò su una merenda alla quale venivamo invitati ance noi allora i ragazzi ci donarono una serie di canzoni in molte diverse lingue. Una ci parve essere italiana. Ce lo confermarono quella sera a Huê dove funzionava una casa dello studente: si, la canzone era italiana, opera di Gianni Rodari, il grande maestro di Piccole Paci.
Quella sera, quelle canzoni che non conoscevano confine ci parve veramente una bandiera della pace che sventolava per noi.
Ettore Masina